La satira di Altan è pungente, cinica oltre ogni misura, poche parole, secche, asciutte, per raccontare i pochi fatti ed i molti misfatti di quello che era il Bel Paese. La tecnica dell’artista veneto è semplice, un’immagine ed una didascalia, la freddura diventa l’icona di una satira che ha poco da dire, perché il tempo dell’indignazione è finito. Altan anticipa i tempi dello sfascio, della iperbolica parabola berlusconiana, il peggio non è passato e non è davanti, è oggi. I nasoni disegnati per delineare l’immobilismo di una cultura impantanata, chiusa in un delirio di nulla, nessuna prospettiva, nessuna speranza, dal Pci alla Dc, dal Pds a FI, solo sigle di una devastante desertificazione del dibattito. Altan non stanca mai nonostante si ripeta, perché riflette il paese che non si stanca di ripetersi; e lo fa con l’arma della satira che da sempre fa più danni dei fucili. E degli strepiti di chi non riesce a sorridere di questo Paese che come un’araba fenice sopravvive ai suoi stessi suicidi. ( )