"Il Soviet degli Urali rifiuta categoricamente d' assumersi la responsabilità di trasferire Nicola Romanov a Mosca. Ritiene invece assolutamente necessario liquidarlo..." ( )

"Ho preso la decisione di abdicare. Fino alle tre di questo pomeriggio, pensavo di farlo a favore di mio figlio Alessio. Ora ho cambiato la mia decisione in favore di mio fratello Michele. Spero che apprezzerete questa decisione di un padre".
Nessuno parla, nella calda penombra della vettura - salotto del treno imperiale, fermo nella stazione di Pskov, nella grande pianura russa bianca di neve. Nicola II Romanov ha parlato lentamente, chiaramente. E' seduto a un tavolino, indossa una tunica cosacca. Guarda gli uomini che, imbarazzati, gli siedono davanti. Due di essi sono deputati della Duma, il parlamento russo: sono giunti da Pietrogrado per convincerlo ad abdicare, nella speranza di salvare ciò che è ancora salvabile nella Russia sconvolta dai disordini, stremata dalla guerra. Nicola ha accettato senza nemmeno discutere. Convinto della missione che gli è venuta direttamente da Dio, fermo nei suoi princìpi autocratici, si è tuttavia piegato al sacrificio. Forse non capisce perché, ma ha accettato di abdicare. [...] ( )