In poche parole è un pezzo dell'autobiografia di Biagi, dall'adolescenza a subito dopo la guerra. Autobiografia scritta basandosi su accadimenti minimi, molto personali, e con pochissimi riferimenti (più che altro dovuti) alla sotira italiana.
Però è scritto bene, senza l'eccessivo parlarsi addosso (e sempre delle stesse cose) di Biagi. ( )

Un'infanzia nella provincia emiliana, gremita di storie e personaggi favolosi, preti, anarchici e briganti; l'adolescenza a Bologna, divisa tra il fascino della sagrestia e del circolo diocesano e improvvise aperture su un mondo diverso e proibito. Dove invece di « Faccetta Nera » si canta I'« Internazionale »: è l'" Amarcord » Biagi, classe 1920 (come Fellini). Un libro e un film che per tanti versi si somigliano e s'illuminano a vicenda, frutti di una generazione che disonora i padri e non si riconosce nei figli. L'apparente agnosticismo politico del giovane giornalista cela in realtà il formarsi di un gusto e di una personalità in tutto ripugnanti al fascismo. alla dimensione cretinoide del regime, rievocata da Biagi in un vivacissimo collage di aneddoti, battute, ritagli di cronaca. si sovrappone ben presto il suo volto criminale, l'orrore e la pietà della guerra e della lotta partigiana, che bruciano in un soffio la giovinezza. A si volta indietro a guardare il passato, sembra quasi di non aver vissuto: " Volarono anni brevi come giorni » suonano i versi di Montale posti ad insegna del Iibro. Ma l'umano sorriso, l'equilibrio che vieta alla malinconia di diventare angoscia, non si smentiscono mai: « Il racconto continua. Sono curioso di vedere come andrà a finire ». ( )