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Chargement... Anatomie de la mélancolie (1621)par Robert Burton, Robert Burton (Auteur)
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Definire che cosa effettivamente sia e a quale genere letterario appartenga The Anatomy of Melancholy (Anatomia della melanconia) di Robert Burton, che ebbe una grandissima diffusione, non solo in Inghilterra e ben oltre la vita dell’autore - è attività in cui si è esercitata per secoli la critica, giungendo, infine, alla conclusione, che quest’opera i generi letterari li sperimenta tutti, dall’enciclopedia al centone, dal trattato di medicina o di retorica alla satira menippea, senza che l’autore ritenga che adottare con coerenza una ben definita tipologia di scrittura sia sufficientemente efficace a dare una sistemazione logica alle varie manifestazioni della malattia melanconica e a mostrarne la complessità. Uno dei principi fondamentali dell’opera di Burton è, infatti, che la melanconia sia una patologia estremamente diffusa, quasi connaturata con il genere umano e che possa quindi assumere forme anche molto diverse. Dietro la maschera di Democrito - il filosofo di cui si dice che sezionasse piccoli animali per trovare la sede della melanconia - e con lo pseudonimo di Democrito iunior, vale a dire di colui che intende proseguirne l’opera con lo studio e la scrittura, il narratore, con reminiscenza shakespeariana, osserva il mondo come teatro e, incurante del paradosso, conclude che la follia, (una condizione in parte sovrapponibile allo stato melanconico, anche se nel corso del trattato finirà col differenziarli almeno in parte) è ovunque, negli individui come nelle città e negli stati e che, quindi, tutti sono matti. Seguendo il modello delle fonti mediche principali, tra tutti Galeno e, indirettamente, Ippocrate, l’autore divide il trattato in Ripartizioni in cui le cause, i sintomi e i possibili interventi terapeutici sono analizzati separatamente, per confluire poi in una interpretazione globale della malattia. Il punto su cui Burton insiste in tutto il trattato è che la melanconia riguardi sia la vita fisica che quella psichica del melanconico, e che lo studio filosofico-psicologico della malattia debba affiancare quello puramente clinico - ed è per questo che l’autore, ecclesiastico e non medico, si sente legittimato a trattare l’argomento. Le sue fonti e le sue auctoritates, numerosissime, sono infatti sia medici che filosofi o retori, dell’antichità o a lui contemporanei, le cui opinioni sono accostate, a volte semplicemente giustapposte, anche se in contrasto tra loro. Inoltre, accanto ad opere di carattere scientifico, vengono citati testi di magia, trattati di astrologia, racconti fantastici, per cui, per esempio, una diagnosi di André du Laurens, medico illustre, un vaticinio di Apollo e una citazione da Ermete Trismegisto sono posti uno accanto all’altro senza troppa preoccupazione. La teoria degli umori, di antica origine ippocratica, e ancora largamente insegnata nelle Università, dove le scoperte di Harvey, di Vesalio, di Ambroise Paré faticavano a farsi strada, è alla base della trattazione dal punto di vista medico e quindi la melanconia è vista soprattutto come il prevalere della bile nera (mélaina kholé) sugli altri umori. Ma sottolineando l’interazione tra il fisico e lo spirituale (oggi diremmo psichico) che egli ritiene all’origine della malattia melanconica, Burton insiste molto sul fatto che a causare la patologia sia un difetto della facoltà che egli chiama indifferentemente “fantasia” o “immaginazione”, che è da un lato, etimologicamente, quella che presiede alla formazione delle immagini, dall’altro ha la funzione di discernere e selezionare gli stimoli che vengono dagli oggetti e penetrano nell’occhio: l’eccesso di bile nera, soprattutto se adusta, portato dagli spiriti vitali verso il cervello, la corrompe. Se la capacità di discernere si altera, la fantasia malata prevale sulla ragione e impedisce alla persona di tenere sotto controllo le proprie passioni. Il rapporto tra ragione e immaginazione è, dunque, quello che rende la persona sana o melanconica. Poiché l’immaginazione può alterarsi in molti modi, molti sono gli eventi della vita di una persona che possono provocare la malattia. L’ozio e la solitudine sono i più importanti: pensare ossessivamente a qualcosa, la fa sembrare diversa da com’è, le attribuisce un’importanza eccessiva, toglie spazio ad altri pensieri e genera sofferenza; anche alcuni cibi possono avere lo stesso effetto. Le passioni, quelli che comunemente chiamiamo “vizi”, come l’ira, l’invidia, la gelosia, ecc sono causa e conseguenza dell’alterazione della fantasia. La passione che più di tutte produce la malattia e ne rende difficile la cura è l’amore. Burton dedica a questo tutto il terzo trattato e con grande ricchezza di citazioni, lo analizza da ogni punto di vista, insistendo soprattutto sul modo in cui la malattia altera l’immagine che chi è innamorato forma dell’oggetto del suo amore. L’immaginazione malata fa apparire la persona amata molto diversa da come è effettivamente, la passione genera ansia, per esempio, se gli innamorati sono lontani, e immaginano pericoli inesistenti o tradimenti e alla fine la malattia si manifesta. Le terapie della melanconia sono prima di tutto “psicologiche”: non lasciare troppo a lungo sole le persone, evitare che stiano in ozio, cercare di correggere le percezioni distorte del melanconico; ma occorre anche evitare determinati cibi, le spezie, per esempio, vivere in zone salubri e, se è possibile, all’aria aperta ecc; poi, se tutto è inutile, devono intervenire i farmaci, principalmente l’elleboro, sostanza di elezione per la malattia, ma anche composti di erbe che gli studiosi ritengono di provata efficacia, oltre ad alcuni stravaganti rimedi, legati alla fantasia popolare o alla magia. Ancora, i salassi e vari modi di purificare il corpo possono essere parte della terapia. La prognosi è favorevole se si tratta di malattia sporadica, meno se la patologia data da molto ed è divenuta, per così dire, cronica. L’esigenza di tenere sotto controllo una mole imponente di dati e una grande varietà di argomenti, l’ansia di chiarezza e di completezza rendono la prosa di Burton una macchina retorica pletorica e di grande complessità, ma non per questo priva di vivacità e di ironia. Lo scrittore privilegia periodi lunghi e contorti, con scarsi segni di interpunzione (il punto fermo è raramente usato), in cui la continuità del discorso è sistematicamente interrotta da citazioni da fonti disparate, da lunghe digressioni, da elenchi interminabili di nomi, di oggetti, di sentimenti, di caratteristiche fisiche dei personaggi, in una sorta di horror vacui che gli fa riempire la pagina di ogni genere di osservazioni, spesso in contraddizione tra loro, in cui risultati scientifici e racconto fantastico sono accostati senza soluzione di continuità. L’esempio più significativo è la lunghissima digressione sull’aria che mette insieme, con l’ironico pretesto di volerle verificare in un immaginario viaggio interplanetario, ipotesi scientifiche, leggende, narrazioni mitologiche e finisce per apparire una ipertrofica summa dello scibile umano e delle tradizioni popolari. L’andamento non lineare del periodo, la ricchezza della retorica, se da un lato mimano la varietà e la difficoltà degli argomenti, hanno tuttavia un significato più profondo, che inserisce pienamente questo scrittore nella cultura che chiamiamo “barocca”. Arrivare ad un concetto per strade non rettilinee arricchisce la conoscenza e potenzia una qualità cara a questa cultura, cioè il wit, l’arguzia, l’intelligenza che consente di percepire e indagare la complessità infinita del mondo. Le figure del discorso, la metafora in particolare, ricreano nel linguaggio quell’affinità tra le cose che non è più possibile rintracciare nella natura. Di lì a poco Emanuele Tesauro nel suo Cannocchiale aristotelico, paragonerà la metafora, che crea relazioni tra cose che di solito sono separate, al cannocchiale, che fa vedere le cose lontane come se fossero vicine. Forse l’importanza e l’originalità di Burton stanno proprio nell’avere applicato questo modello culturale all’analisi “scientifica” della melanconia. Robert Burton's The anatomy of melancholy, first completed in 1621, appears to be a medical work, but is described in the Tudor edition of 1927 by Floyd Dell and Paul Jordan-Smith (Tudor Publishing Company, New York) as 'a sort of literary cosmos, an omnium gatherum, a compendium of everything that caught the fancy of the scholar.. . abounding in quaint conceits, excerpts and quotations'. The 52-page index to the 984-page text reflects this anecdotal profusion. ContientThe Anatomy of Melancholy: Volume VI: Commentary on the Third Partition, together with Biobibliographical and Topical Indexes par Robert Burton Est en version abrégée dansContient un commentaire de texte dePrix et récompensesListes notables
This is the fourth volume of the Clarendon edition of Robert Burton's the "Anatomy of Melancholy" and the first of three volumes of commentary. It contains commentary on the text up to page 327 of Volume One. Aucune description trouvée dans une bibliothèque |
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Google Books — Chargement... GenresClassification décimale de Melvil (CDD)616.89Technology Medicine and health Diseases Diseases of nervous system and mental disorders Mental disordersClassification de la Bibliothèque du CongrèsÉvaluationMoyenne:
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