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Sandokan (2011)

par Emilio Salgari

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Un alucinante viaje a través del tiempo y el espacio a una tierra en la que era posible encontrar peleas, descomunales, tigres o diamantes del tamaño de una nuez.. En la obra de Emilio Salgari se confunden realidad y ficción a partir de su enorme capacidad de fabulación sobre geografías y ambientes que él solo llegó a conocer a través de las descripciones que sacaba de las bibliotecas en Verona y Turín. Familiarizado con el léxico marino, por sus estudios no finalizados de capitán de gran cabotaje, conseguirá un gran verismo en las numerosas batallas navales de sus libros de aventura. La historia de Sandokán, una de sus creaciones más felices, fue concebida como un viaje alucinante a través del tiempo y el espacio a una tierra en la que era posible encontrar peleas, descomunales tigres o diamantes del tamaño de una nuez.
  Natt90 | Nov 9, 2022 |
Libro en edición cartoné con 192 páginas más portadilla, guardas y cubiertas. Llevó sobrecubiertas de papel con ilustración a color en su parte delantera, pequeños dibujos con el rostro de los personajes en la parte del lomo (además del título de la obra, la serie a la que pertenecía y la numeración de la misma) y publicidad del resto de series en la parte trasera. Las solapas que servían de fijación a las cubiertas del libro contenían una sinopsis de la obra contenida. Sus páginas alternan texto con historieta, a razón de 3 páginas de texto por cada página de historieta, conteniendo el ejemplar 60 páginas de historieta siendo las restantes de texto.

Traducción: José Repollés
Dibujos: Ángel Pardo
Ilustración de sobrecubiertas: Antonio Bernal ( )
  serxius | Aug 26, 2022 |
Edición abreviada
  Daniel464 | Aug 22, 2021 |
Le tigri di Mompracem
Che effetto fa tornare a Sandokan e avventurosa compagnia dopo tanti anni? Tutto sommato assai piacevole: al netto di qualche ingenuità o ripetizione e malgrado alcuni sbrodolamenti descrittivi di troppo (ma la verbosità della parte ‘scenografica’ è uno dei segni distintivi del tempo in cui il romanzo fu scritto), Salgari risulta ancora capace di tenere il lettore incollato alla pagina, portandolo a percorrere i capitoli con divertita curiosità. Oltretutto, il testo originale aiuta a eliminare vecchie incrostazioni della memoria, di cui ha non poca colpa la visione infantile del bello sceneggiato di Sollima trasmesso a metà anni Settanta: quell’efficace crasi dei primi tre romanzi del ciclo finisce per venire scompaginata dal ritorno alla parola scritta. E’ impossibile per me dare ai personaggi volti diversi da quelli di Kabir Bedi, Philippe Leroy e Carole Andrè, ma il resto – visti anche i lustri trascorsi – riesce ad avere il sapore della novità: dal ruggente apparire della Tigre in cima alla sua rocca fino al perduto innamoramento che lo costringe a scegliere tra la Perla e la carriera piratesca originata dal desiderio di vendetta nei confronti degli inglesi. Sono evidenti le analogie con il Corsaro Nero – il rude bucaniere che si innamora della figlia/nipote del nemico – ma in questo caso la narrazione si fa più dinamica grazie a una bella inventiva riguardante le figure secondarie: Lord Guillonk è il cattivo, ma ha un suo senso dell’onore, molti dei pirati sono caratterizzati con pochi ma efficaci tratti e infine c’è Yanez a controbilanciare con l’astuzia e l’umorismo gli atteggiamenti del suo ‘fratellino’. Va infatti detto che Sandokan ha un ego non poco sovradimensionato, il che non lo rende sempre simpatico: caratteristiche pur’esse figlie degli anni che lo videro nascere (un po’ come gli eccessi di svenevolezza in cui cade ogni tanto Marianna), ma che lo portano a volte auna condotta tra il supereroe e il semplice sbruffone. Al momento giusto, arriva però il suo compagno portoghese, attento e razionale (si ha l’impressione che sia lui il vero regista della vita a Mompracem), nonché capace di un atteggiamento disincantato quanto mai necessario. Non è del resto neppure opportuno mettersi a spaccare il capello in quattro, visto che di libro di avventure si tratta e come tale va giudicato: tra abbordaggi e fughe nella giungla (per non parlare del celeberrimo duello con la tigre) sa appassionare e divertire facendo volare la fantasia in terre lontane e – benché esistenti quasi tutte su una carta geografica – immaginarie oggi come dovevano sembrare cento anni fa. Se poi Salgari non fosse stato pressato dagli editori e si fosse potuto rileggere, magari avrebbe evitato di scrivere ‘darei metà del mio sangue’ ogni tre per due, ma a pensarci bene anche questo fa parte del fascino della sua esperienza letteraria.

I misteri della jumgla nera
Il secondo titolo della serie dei pirati della Malesia è ambientato ben lontano dai mari in cui Sandokan scorrazza nel volume precedente: ci troviamo nel delta del Gange a seguire le peripezie del cacciatore di serpenti Tremal-Naik, disposto a tutto per impalmare la adorata Ada. Il problema è che la giovane è costretta al ruolo di sacerdotessa di Kalì dalla sinistra setta dei Thugs, abili strangolatori comandati dal perfido Suyodhana. Il romanzo è diviso in due parti pressappoco equivalenti che sono in pratica racconti che potrebbero avere vita propria delle quali, seppur pari è la capacità di divertire e appassionare, la prima si fa senza dubbio preferire. Approfittando dell’ambientazione in una una giungla misteriosa e piena di rischi – tra alligatori, tigri ed esseri umani – per non parlare di cadaveri che il fiume sacro porta verso la foce, Salgari riesce a costruire un’atmosfera di incantamento malsano già dalla descrizione iniziale, una sorta di piano-sequenza che svela con un abile crescendo i mefitici luoghi che costituiscono la base e il nascondiglio degli adepti di Kalì. Sul limitare della regione vive il personaggio principale che, messo sottosopra da una fugace visione di Ada, conosciuta come la ‘vergine della pagoda’, si mette in testa di liberarla: accompagnato dal fedele Kammamuri si lancia in un’impresa impossibile che rischia di costargli la pelle, ma, dopo aver sventato l’agguato di una talpa, non appena si riprende va di nuovo a ficcarsi nel quartier generale del nemico. Il racconto si svolge intriso di magia e di mistero in un mondo che pare vittima di un malvagio incantesimo: sensazione che si perde (assieme a Kammamuri) nella seconda parte quando Tremal-Naik, fatto prigioniero e ricattato con la sorte di Ada, accetta di uccidere per conto degli adoratori di Kalì il loro peggior avversario, ovvero il capitano inglese Macpherson. Egli non sa – ma il lettore sì – che l’uomo è il padre della ragazza ed ha giurato di ricongiungersi a lei a ogni costo: dopo un primo contatto nella residenza di campagna del militare, inizia una sorta di doppia caccia, con il protagonista che insegue il rivale diretto alla sede dei Thug mentre alle calcagna si ritrova i sipai del brillante sergente Baharata, seminato solo dopo una complicatissima fuga nei sotterranei di una Bombay popolata di inquietanti fachiri e bramini. Ovviamente, tutto è bene quel che finisce bene con lo svelarsi dei personaggi uno all’altro, sebbene sia inevitabile avvertire un pizzico di fretta nel chiudere dopo le molte e lunghe scene d’azione precedenti: nel contempo, però, Salgari lascia il finale semiaperto con le ultime righe che preludono a futuri, sinistri sviluppi. Nel complesso e al netto di poche ingenuità come l’insopportabile Darma, la tigre ammaestrata che accompagna Tremal-Naik, il romanzo sa sprigionare ancor oggi un notevole fascino, facendosi preferire a ‘Le tigri di Mompracem’ in virtù anche di una figura centrale che, pur patendo le stesse pene d’amore, risulta meno monolitico e perciò assai più empatico di Sandokan.

I pirati della Malesia
Il ciclo di Sandokan inizia a prendere forma fra queste pagine in cui Salgari decide di riunire le trame de ‘Le tigri di Mompracem’ e de ‘I misteri della jungla nera’ in un’avventura piena di mirabolanti vicende che non può non trascinare grandi e piccini. La scomparsa di Marianna toglie dai piedi un personaggio scomodo e consente di mostrare la Tigre ferita dentro: circostanza che lo rende particolarmente sensibile alle pene di Tremal-Naik, prigioniero a Sarawak in attesa di essere deportato in Australia e perciò a rischio di venir separato per sempre dall’amata Ada. La sua lacrimevole storia viene raccontata da Kammamuri, finito per i capricci del mare a Mompracem assieme alla donna che, per l’accumulo di emozioni, è uscita di senno: visto che il carceriere dell’indiano è Lord Brooke, nemico e sterminatore di pirati nell’intero il Borneo, subito si stabilisce di unire l’utile al dilettevole partendo per la missione di salvataggio. Yanez si esibisce in uno dei suoi numeri preferiti, ovvero l’infiltrato nei panni di un nobiluomo scozzese, e può fornire a Tremal-Naik la misteriosa sostanza che ne simula la morte, passaggio necessario per favorirne la fuga. Ben presto le cose per il portoghese si mettono male e i tigrotti, nonostante l’intervento salvifico di Lord Guillonk (che considera oramai Sandokan un nipote), finiscono in una situazione complicata: l’assedio su un’isola li conduce alla resa che però è solo il preludio alla sconfitta di Brooke, contro il quale i nostri spingono alla rivolta il rajah che aveva spodestato. Ovviamente gli innamorati si ritrovano progettando la futura felicità, mentre il protagonista fa il generoso con Brooke lasciandosi nel frattempo attrarre da una gitarella in India per eliminare i thug. La narrazione procede brillante alternando con cura i personaggi e le situazioni di una trama abbastanza complessa nonché corredata di un buon numero di colpi di scena: lo spazio lasciato a Yanez offre la consueta opportunità di alleggerire il clima laddove la Tigre comincia a delinearsi come una figura a tutto tondo - uomo coraggioso, ma pure riflessivo - che si è liberata dell’insopportabile egocentrismo che la caratterizza nel primo romanzo. Immancabili sono le scene madri e le minuziose descrizioni, ma si rivelano meno ingombranti del consueto in un libro d’azione che, malgrado l’italiano dell’altroieri, si fa apprezzare spesso e volentieri per la sua modernità.

Le due tigri
Maturata nel romanzo precedente, l’idea di far convergere le tracce narrative malese e indiana in un solo flusso di racconto perviene a compimento in questo possente volume in cui le due Tigri infine si sfidano a duello. Il libro è complesso e ricco di personaggi delineati con cura, sia nelle fila dei buoni, sia in quelle dei cattivi, e parecchi non arrivano a vedere il sole dell’ultima pagina pure fra i primi: ci sono agguati nei vicoli, strani sacerdoti e ancor più stravaganti riti nelle strade di Calcutta, un lungo inseguimento nella giungla corroborato da corse di elefanti e tigri anziane avvezze alla carne umana nonché una specie di grand tour dell’India sullo sfondo di una rivolta contro gli inglesi che si rivela impietosa su entrambi i fronti. Eppure non tutto funziona perché, dopo un avvio senza momenti di pausa, Salgari inizia a proporre inserti non connessi con la trama principale: quale che ne sia il motivo (rimpolpare il numero di pagine o desiderio di raccontare l’esotico) si tratta di passaggi ingombranti, come si nota in special modo in quello che descrive l’organizzazione e la realizzazione della battuta di caccia non appena i nostri giungono nella giungla. Più interessanti sono i sussulti da romanzo storico – la ribellione di cui sopra è un episodio reale e il sacco di Dehli un brutto capitolo dell’impero britannico – ma non è proprio quello che si chiede a un avventura di Sandokan: il ritmo ne risente, spingendo ad accelerare la lettura per reincontrare al più presto il corso degli eventi. Che è subito detto: il perfido Suyodhana rapisce la figlia di Tremal-Naik – la figura meno interessante, tutta fremiti e pianti - per farne la nuova Vergine della Pagoda (Ada è morta di parto, anche lei tolta dai piedi come Marianna): Sandokan, Yanez e un gruppo di Tigrotti partono da Mompracem per andare a salvarla e dopo millanta avventure - con un solo praho mettono fuori uso due navi cariche di arrabbiatissimi thugs, le mille trappole vengono evitate per miracolo grazie all’intervento del fato o di inattesi alleati (la bajadera Surama, Remy de Lussac, il thug pentito ed ex bramino Sirdar, il cipay Bedar) – riescono prima a distruggere il quartier generale nemico di Rajmangal e poi raggiungere l’arcinemico a Dehli. Sullo sfondo della città in fiamme avviene infine il duello che, a dir la verità, viene risolto in maniera sbrigativa (una coltellata e via), quasi che, a quel punto, la vicenda avesse detto tutto e il suo autore fosse più interessato al tragico destino della città. Nel mezzo di tanta azione, si va completando la maturazione del personaggio di Sandokan, via via più riflessivo e centrato, tanto che spesso è il suo controbilanciamento ironico, ovvero Yanez, a risultare più prevedibile.
  catcarlo | Oct 1, 2017 |
me gusto mucho por que describio magnificamente los momentos de accion, contruyendo un personaj que es un heroe que entretiene e que da un ejemplo a seguir de pelear para conseguir es que uno quiere como en sus batallas que peleaba furiosamente hasta no perder en la batalla

pero para algunos , es sinonimo de mala calidad para otros , entre los que me encuentro yo, nada de eso

pero espero que os guste mucho...... ( )
  LectoresLN | Oct 12, 2016 |
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