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L'anneau de Clarisse : Grand style et nihilisme dans la littérature moderne

par Claudio Magris

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Se ancora tu avessi vaghezza, ma quando, ma dove...

(Gottfried Benn)





Da leggere:

Adorno, Minima moralia

Anonimo triestino, Segreto

Zellini, Breve storia dell’infinito

Oswald Wiener, Miglioramento della Mitteleuropa

Musil, L’uomo senza qualità

Musil, Diari

Strindberg, La storia di un’anima

Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos

Jacobsen, Niels Lyhne

Sperber, Come lacrime nell’oceano

Dos Passos

Gottfried Benn

Walter Benjamin, Angelus Novus

João Guimarães Rosa, Grande Sertao



Broch, Incolpevoli

Doderer, Scalinata

Sperber, Gli acquaioli di Dio

Gregor von Rezzori, La morte di mio fratello Abele





Passaggi:



Grande stile e totalità

L’uomo senza qualità si propone di rappresentare tutta la realtà nel suo mutevole divenire ed è perciò forse destinato a rimanere un frammento, privo di un centro e di una conclusione, così come non ha centro l’anello di Clarisse, il personaggio femminile ricalcato sul modello di Nietzsche...

(pagina 3)



Ciò che unisce in una trama narrativa i personaggi dell’Uomo senza qualità è la ricerca di un fondamento del reale, che non si lascia trovare. La realtà non ha una base di valori sulla quale poggiare né un sistema di valori in cui comporsi e abitare: la totalità assente è una dimora dalla quale la vita è stata sfrattata.

(pagina 4)



I filosofi, – scrive Musil nell’Uomo senza qualità, - sono dei violenti che non dispongono di un esercito e perciò s’impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema.

(pagina 5)



Questo rifiuto totale della prosa del mondo – e anche di ogni fiduciosa contestazione - è l’estrema strategia difensiva del soggetto, che cerca di salvare dalle spire della totalità sociale – attraverso la negazione, l’autodissimulazione e la rinuncia – un residuo irriducibile di vita propria, di senso.

(pagina 20)



L’esistenza viene affermata nella sua singolarità immediata, contro ogni essenza che la trascenda e ogni sistema che la “volatilizzi”, come diceva Kierkegaard, ovvero che la dissolva nella sua costruzione. L’esistenza si ribella al linguaggio, che esprime solo l’universale, perché universalizza l’individuale... Il linguaggio distrugge così il mondo, diceva Cassirer, relega l’immediatezza all’insignificanza e all’inesistenza.

(pagina 22)



Per tanta letteratura occidentale vale la constatazione di Kafka nel suo racconto Descrizione di una battaglia, secondo la quale le cose non sono più al loro posto e la lingua non le dice più.

(pagina 23-4)



Hofmannsthal e la Lettera di Lord Chandos



Certo Hofmannsthal non ritorna ad alcuna fede positiva e consolatoria. Il suo messaggio finale, il dramma La Torre (1925-27), mostra come le contraddizioni della vita e della storia siano irresolubili e come nessuna superiore unità del pensiero possa conciliare o sanare le selvagge lacerazioni del reale...

(pagina 34)



Hofmannsthal sottolinea la discrezione aristocratica, il signorile riserbo di questo commiato dello scrittore dalla parola; anche in un suo altro racconto, nella Lettera dell’ultimo Contarin, la scelta dell’ombra e del silenzio viene compiuta con pacata reticenza.

(pagina 44)



Qualche anno più tardi, nel brano I colori contenuto nelle Lettere del reduce (1907), Hofmannsthal invertirà il processo dell’epifania. Al reduce che ritorna in Europa le cose – la brocca sul comodino, il movimento nella strada – appariranno prive di realtà, segni di sé stesse; come se la brocca sul tavolo stesse per la vera brocca, per l’essenza della brocca. Il reduce vivrà l’epifania dell’oggetto ritrovandolo nei quadri di Van Gogh; vivrà l’esperienza della presentazione semantica dinanzi ad un’opera d’arte, cioè ad un’organizzazione di segni.

(pagina 52)



Nichilismo e malinconia.

Jacobsen e il suo Niels Lyhne



Per Niels Lyhne, l’eroe di Jacobsen che passa l’esistenza a poetare sopra di essa senza riuscire ad afferrarla, la vita ha perso ogni naturalezza ed ogni contenuto, non è più evidente e autogiustificata nel suo trascorrere, ma è vuota e irreale.

(pagina 63)



L’uomo, aveva detto Nietzsche, è una corda tesa sopra un abisso, un passaggio periglioso, un ponte che dev’essere attraversato, una transizione ed un tramonto; la poesia di Jacobsen è un perenne soffermarsi in questa transizione e su questo ponte, uno sguardo che erra con nostalgia fra le due rive senza ritornare all’una né raggiungere l’altra; è un indugiare nel passaggio, “un periglioso guardare indietro – per ricordare le parole di Zarathustra – e un periglioso rabbrividire e fermarsi”.

(pagina 68)



...la poesia e il pensiero moderno ci hanno insegnato che la nostra sorte è scivolare via sul mare, lontano dalla città natale, come nella lirica di Hofmannsthal, o giù per la corrente mentre la vita ci guarda dalle sponde.

(pagina 80)



Il tardo Ibsen e la megalomania della vita



La disillusione di Ibsen ci è più vicina della geniale enfasi di Strindberg; è nel vuoto di quelle parrocchie e di quelle case di campagna norvegesi, col fiordo quasi sempre sullo sfondo della scena ibseniana, che si sente mancare la vita vera.

(pagina 108)



La vita aldilà del bene e del male fa balenare la sua seduzione quando non c’è, quando è assente e lontana, inafferabile e irrapresentabile; quando è l’orizzonte di una nostalgia, la lontananza oltre il bosco coperto di neve...

(pagina 117)



Franz Blei e la pura superficie



Innamorato dei giardini nipponici, Blei contrappone alla poesia europea, che vuol comporre il mondo in una totalità piena di senso, quella giapponese, che s’appaga dell’indefinibile dettaglio isola e si limita ad aprire una sottile fessura da cui guardare un minimo frammento del mondo, mai universalizzato in un concetto, bensì abbandonato alla sua particolarità.

(pagina 137)



Fra le crepe dell’io: Knut Hamsun



Sulle orme di Nietzsche, Hamsun considera essenziale la forma a spese dei contenuti, giacché i contenuti appaiono meri prodotti dell’ingranaggio culturale, merce interscambiabile ad uso dei consumatori di beni intellettuali e quindi elementi dell’istituzione.

(pagina 149)



Nagel respinge ogni interrogativo circa la sostanza, non vuol neanche porsi il problema del cosa ma soltanto del come della vita.

(pagina 157)



Fine lettore di Nietzsche, Hamsun capisce che la più profonda nostalgia dello spirito per la vita si rivolge alla sua grazia tranquilla e spontanea, alle chiare bandiere delle buone case borghesi in festa che rispondono al vento, all’armonia quotidiana delle ora semplici e intrise di significato, alla felicità e all’ordine dell’esistenza immediata e aproblematica.

(pagina 158)



Nelle regioni inferiori: Robert Walser



Simon Tanner, nel romanzo I fratelli Tanner (1907), “striscia negli angoli e nelle fessure della vita”, simili al fetido sottosuolo dostoevskiano, vuol rinviare il più possibile il momento di “formarsi definitivamente”, mentre il desiderio di suo fratello è di “scomparire in mezzo alla gente”.

(pagina 167)



Walser riesce a salvare un’istantanea felicità del molteplice grazie al fatto “di non vedere la connessione” perché tutto teso a vedere “l’aspetto esteriore”. E’ l’abolizione della connessione che, disgregando l’imperiosa totalità, permette l’inebriante apparizione del molteplice.

(pagina 172)



La poesia di Walser è come l’imbrunire di una domenica. Quando una sommessa, inesprimibile felicità, che la vita un attimo prima sembrava promettere, si ritrae d’improvviso in una vuota malinconia, in un tacito scivolare del tempo.

(pagina 173)



“Quando è il presente?”: Rilke di fronte e dietro le parole



Nel Malte, il romanzo col quale Rilke raffigura nel 1910 la disgregazione dell’io e del linguaggio, gli oggetti parlano una lingua non linguistica, che non gerarchizza il molteplice né sostituisce la sua immediatezza, bensì coincide col loro apparire, con il loro presentarsi: il fiore, nel Malte, non dice di appartenere all’una o all’altra classe o sottoclasse di vegetali né sta per alcun fiore, ma dice soltanto “rosso”, esibisce con evidenza la propria densità semantica, il proprio senso, aldilà di ogni convenzione e sostituzione segnica.

(pagine 179-80)



Rilke è un grande poeta di questo iato che, nella letteratura e nella realtà moderna, s’è aperto fra l’io e la vita, che dovrebbe essere sua e che egli sente invece straniera e inaccessibile.

(pagina 182)



L’eroe di Rilke è invece il figliol prodigo che non torna alla casa paterna ma procede oltre, in un cammino rettilineo e illimitato; è l’individuo nuovo, che non impara a conoscere se stesso – ossia una propria sostanziale identità - bensì a mutare se stesso, scoprendo di non avere alcuna sostanza unitaria, ma di essere solo un processo di mutamento.

(pagina 187)



La scrittura e la vecchiaia selvaggia: Italo Svevo



La rappresentazione della vita, ossia il romanzo-enciclopedia, è destinato all’incompiutezza, all’oscurità e all’irregolarità. “Ricordo tutto, ma non intendo niente”, dice Zeno,…

(pagina 193)



Lo sforzo di catalogare e di riunire è incessante: il signor Aghios, nel Corto viaggio sentimentale (1925), si propone non solo di far ordine nelle sue tasche, ma anche di tenere in una di esse un bel registro, comprendente la pianta delle tasche con l’elenco degli oggetti contenutivi.

(pagina 194)



La grande letteratura mitteleuropea ha espresso – da Svevo a Kafka, da Musil a Canetti a Doderer – l'angoscia per la vita immediata, che ferisce e morde nel momento del suo fluire, e il tentativo di costruire con la scrittura un apparato difensivo contro quella crudeltà.

(pagine 200-1)



Dietro quest’infinito: Robert Musil



La filosofia, in quanto sintesi, unificazione e giudizio dell’esperienza, appariva anche a Musil una repressione della vita.

(pagina 213)



Il Toerless è anche e soprattutto la parabola romanzesca dell’insufficienza del segno rispetto alla totalità indefinibile e amorfa (l’abisso, il mare, la caverna subacquea, le tenebre, lo scintillio) degli oggetti reali e dei loro molteplici sensi.

(218)



...Musil narra una parabola dell’estinzione del linguaggio: immergersi nella fessura della coscienza, e scendere in quel chiarore che vi si scorge brillare, significa scendere nell’”oscurità imprecisa” che sottostà al linguaggio, al pensiero, alla vita individuale.

(pagina 236)



Nei suoi racconti Musil giunge ad una delle estreme negazioni del grande stile, di tutto ciò che lo costituisce e che esso fonda: la totalità epica e l’universalità di valori, l’unità del mondo, l’identità individuale, lo sguardo dall’alto, la saldezza della parola. La percezione del minimo e del fuggevole impedisce ogni visione d’insieme, azzera ogni gerarchia e penetra il soggetto così profondamente da disgregarlo.

(pagine 237-8)



La nostra vita, dice Ulrich, “dovrebbe essere tutta e soltanto letteratura”, libera – come nei sogni del vegliardo sveviano – dalla limacciosa ed aspra opacità dell’immediatezza.

(248)



Gli elettroni impazziti: Elias Canetti e l’Auto da fé



Die Blendung (titolo che viene impropriamente tradotto Auto da fé o, in altre lingue, La torre di Babele) è questo abbagliamento ed accecamento dell’intelligenza contemporanea, che non riesce ad inquadrare la proliferante realtà del molteplice, secondo una prospettiva gerarchica del pensiero, ed è costretta a guardarla da una distanza zero, da un’ottica quindi stravolta.

(257)



Canetti disegna genialmente la psicologia di questo io monomaniaco, che si rinserra per non dissolversi; l’opposizione di Kien al mondo consiste in un anarchico disprezzo, che preferisce riconoscere e assecondare le esigenze della società piuttosto che negarle, perché la negazione implica pur sempre un rapporto intenso e diretto con quella realtà, una partecipazione ad essa, mentre lo sprezzante rispetto è una forma di distacco ed allontanamento.

(pagina 269)



Tutta la cultura viennese, nella quale cresce e si forma Canetti, è fortemente influenzata, come s’è visto, dalla scoperta della struttura plurima dell’io. Dissociazione linguistica e lacerazione psichica appaiono quasi interscambiabili; Moosbrugger e Clarisse, nella loro esperienza-limite, distruggono anzitutto l’ordine della frase.

(pagina 279-80)



Negli Incolpevoli (1949) Broch, così ammirato da Canetti, celebra l’assenza di nome quale mezzo per sfuggire alle inesorabili reti del codice e alla gabbia del sistema che reggono la tirannica società della ratio: “C’é una sola possibilità di rifugio ed è non avere nome. Chi non ha più nome, non può essere chiamato. Io, grazie al cielo, l’ho dimenticato...

(pagina 281)



La “prima realtà” di Doderer



Un’immobile tarda estate, librata su Vienna in un’inalterabile calma, apre la quarta parte della Scalinata (1951) e sospende il racconto e l’azione in una di quelle pause incantate, tacite e perfettamente vuote... Più di una pagina del romanzo è dedicata alla descrizione delle abitazioni, momentaneamente abbandonate durante le vacanze, e dell’ineffabile epifania che ha luogo in quella solitudine e in quel silenzio. Taciti e intensi, gli oggetti risplendono in una luce pacata e beata, in un’inesauribile pienezza di senso; il loro maturo e tranquillo bagliore si irradia e si affievolisce, riluce inestinguibile in se stesso, affonda nell’amica penombra della casa, ad attestare senza parole un’armonia domestica indissolubilmente fusa con l’ordine delle cose quotidiane, o si protende verso le lontananze che si disegnano oltre le finestre, si rifrange da un lucido leggio o dal liscio specchio di un pianoforte, per congiungersi e confondersi con la luce pomeridiana che brilla nel paesaggio lontano e sui tetti della città.

(pagina 293)



La totalità perduta di Manes Sperber



L’esilio è familiare s straniero: il romanzo di Sperber è un atlante di questa vita che non pianta radici in nessun luogo, ma che per qualche breve ora è di casa ovunque, su un ponte di Oslo, in un caffè di Vienna o su un’isola dalmata.

(pagina 327)



La vita e la legge: Isaac Bashevis Singer



Questa voce regge le fila delle parabole nelle raccolte Gimpel, l’idiota e altre storie (1957), Lo Spinoza di Via del Mercato e altre storie (1961) e Breve venerdì e altre storie (1964), ed è grazie ad essa che a Singer riesce l’imperturbabile rappresentazione della totalità: egli ritrae il caos e l’ordine, la tenerezza e la perversione, la luminosa presenza del senso e l’acre putredine del nulla.

(pagine 342-3)



La nuova innocenza



Così nell’Ora del vero sentire di Peter Handke (1975) una foglia d’ippocastano, il frammento di uno specchio e un piccolo fermaglio per capelli rilucono d’un tratto in una pienezza di senso, scivolati fuori dalle connessioni della totalità sistematica delle metafisiche e dall’accumulo della totalità additiva della società dei simulacri. Le cose ridiventano magiche e vicine, “prossimità nata per incantesimo”, e la vita ridiviene familiare: “non c’è più nulla di estraneo”.

(pagina 386) ( )
  NewLibrary78 | Jul 22, 2023 |
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