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par Erri De Luca

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Con De Luca provo sempre un po’ di disagio. Ci sono elementi della sua prosa che mi attraggono e nei quali riesco a identificarmi ed altri che mi irritano profondamente. Forse dovrei ragionare su cosa mi irrita ma in fondo, mi chiedo, è così importante?

1) “Gli piaceva insegnare: questo verbo per lui si realizzava nell’accendere nei ragazzi la voglia di conoscere che sta in ognuno di loro e che aspetta a volte solo un invito sapiente.” Il professor Corino era sicuramente piemontese e insegnava filosofia. L’episodio che De Luca racconta ha come protagonista Giovanni La Magna, un professore di greco di origini siciliane. Eppure la figura di questo protagonista ha fatto violentemente riaffiorare il ricordo del professor Corino. Non so se gli piacesse insegnare ma immagino che fosse consapevole di riuscire ad accendere in alcuni di noi quella voglia di conoscere che aspetta solo “un invito sapiente”. De Luca fa spiegare al suo personaggio la differenza tra omertà e solidarietà e gli fa esporre le proprie convinzioni su ciò che è morale e che, perché tale, va difeso. Per tutta la durata di questo episodio nel quale il professor La Magna spiega ai suoi allievi come discriminare il giusto dall’ingiusto il suo viso è stato per me quello di Corino, seduto alla cattedra in quarta C.

2) “Forse nella vita di ognuno capita un giorno in cui si è felici di odorare la merda.” Qualche settimana fa, in un colloquio di lavoro, tra quelle che considero le mie qualità ho inserito il non aver paura di “sporcarmi le mani con la merda”: non so se le persone che mi ascoltavano hanno capito; spesso mi sembra che lavorare con la merda sia considerato degradante; ma è davvero degradante scavare in profondità - rischiando anche di compromettere se stessi - per trovare l’origine dei problemi? per farne emergere l’origine profonda? A volte mi sembra che, pur di nascondere ciò che non si vuole o non si sa affrontare, si preferisca coprire i problemi scomodi con strati e strati di immacolata carta igienica pieni di progetti con i quali poi edificare edifici coerenti, puri, puliti, dimenticando che alla base i problemi rimangono lì, irrisolti.

3) “La vita dei vent’anni è piena di parassiti ansiosi di far nido in ogni rinuncia.” Mi domando se sia giusto vedere ogni scelta (le rinunce non sono delle scelte, in fondo?) come una ferita, una cicatrice, in cui si possano incistare i parassiti di quelle che, dopo anni, consideriamo sconfitte. Sono davvero quelle scelte che hanno partorito il marcio, o è l’urgenza di assolverci che ci fa riconsiderare il passato, che ci porta a trasferire le nostre “responsabiltà” su un “io” lontano?

4) “Quello che è accaduto prima di noi è altrettanto segreto.” Le profezie ci parlano sempre del futuro, ci svelano ciò che ancora non è stato. Dov’è quel mago capace, invece, di profetizzare il passato? Di rivelare i misteri di ciò che non potrà mai più essere detto?

5) “Volevo allora che i libri stessero al mondo come angeli custodi degli addii.” L’”allora” di questa frase lascia spazio a una distanza, a una differenza rispetto a un tempo “altro”. E l’imperfetto (è un caso questa coincidenza del tempo verbale?) ritorna più tardi in un’altra frase il cui oggetto sono di nuovo i libri: “Voleva bene ai libri.” Anche qui una distanza che induce a presumere che ciò che valeva un tempo non sia più così, sia mutato, rovesciato forse. E allora al libro non si vuole più bene? E allora il libro non è più un angelo? Forse è diventato un demone? Un diavolo custode? Un mostro che ci chiude nel suo labirinto, un mostro che non si può sconfiggere con gli strumenti di Teseo, ma con cui non possiamo far altro che convivere?
  claudio.marchisio | Jul 27, 2022 |
Strong poetic prose about love, death, and reading -- that is, Life. What does "in alto a sinistra" ("up and to the left") mean? It's where our eyes go when we turn the page of a book. But beware of bad poets who are "full of 'likes', dazzled by likenesses". ( )
  donato | Apr 29, 2011 |
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