Marjorie Wallace

Avevo letto della vicenda delle gemelle Gibbons varie volte, soprattutto su post trovati qua e la in rete e che avevano titoli come "i 10 articoli più inquietanti di Wikipedia", "i 5 casi psichiatrici più disturbanti" e altre cose del genere, articoli dei era chiarissimo dove volessero andare a parare.
Essendo un estimatore delle stranezze del mondo, quando ho scoperto che esisteva una traduzione italiana del libro che raccontava la storia di queste due inquietanti sorelle, non me lo sono lasciato sfuggire.
"Le gemelle che non parlavano" (domanda al traduttore, perché questo titolo e non "Le gemelle silenziose" molto più simile all'originale "the silent twins"?) non è il resoconto di un caso clinico, come potrebbe far pensare l'introduzione del grande Oliver Sacks, ma una vera e propria biografia. Un opera lontana, nei toni, dagli articoli nominati poco sopra. Non presenta quegli artifici retorici che servono per arricchire di atmosfera la vicenda. L'autrice, una giornalista che aveva seguito il processo alle due gemelle per un caso di piromania, si limita a raccontare le loro vite deducendole dai loro fittissimi diari e dai pochi stentati colloqui avuti con June e Jennifer, questi i nomi delle sorelle, nella saletta di un ospedale psichiatrico. Eppure il libro risulta quanto mai inquietante, ci spinge a porci domande sui limiti della nostra individualità, sulla natura dei nostri rapporti con gli altri.
Le gemelle Gibbons vengono descritte come intrappolate nel gioco infantile che abbiamo fatto un po' tutti da piccoli, quello in cui ci si doveva fissare e il primo che avesse fatto un movimento avrebbe perso. Ma questo gioco, per le due sorelle, si è espande fino a occupare ogni aspetto della loro vita e, addirittura, a confondersi con essa. Ogni ora delle loro giornate è una lotta continua in cui l'una tenta di fagocitare l'individualità dell'altra, un rapporto dal quale entrambe cercano di sottrarsi senza però riuscirci tale è la bramosia di dominarsi a vicenda ma anche di non rimanere sole in un mondo che per loro è una terra straniera.La narrazione di Marjorie Wallace e secca, dettagliata ed efficace nella migliore tradizione anglosassone e fa trasparire una grande empatia verso queste due anime in pena, trascurate prima dalla famiglia, poi dalla scuola e non comprese né dal sistema giudiziario prima né da quello sanitario poi.
Un libro e una vicenda che non lascerà indifferente nessuno.
Coda
Essendo stato scritto nel 1986, il libro si conclude proprio nel bel mezzo del ricovero delle gemelle nell'ospedale psichiatrico di Broadmore, alla vicenda manca quindi il finale che avvenne nel 1993.
Da lungo tempo e dopo molti tormenti, June e Jennifer avevano compreso che, se avessero continuato a vivere entrambe, non sarebbero mai state libere: una di loro doveva quindi morire; Jennifer decise di essere lei stessa a fare questo sacrificio.
Nel Marzo del 1993 subito dopo il loro trasferimento da Broadmoore alla clinica Caswell, nel Galles, la donna entrò in una sorta di stato catalettico dal quale non uscì mai più, almeno fino alla sua morte che avvenne quello stesso mese per un'acuta miocardia. Sul suo corpo non venne trovata alcuna traccia di veleno né di altri segni che potesse far pensare a un suicidio e la sua morte risulta a tutt'oggi misteriosa.June, incontrata dalla Wallace qualche giorno dopo, viene descritta di umore strano e le sue parole a proposito del decesso della sorella furono queste: " sono libera, alla fine Jennifer ha dato la sua vita per me".Ora June vive una vita quieta ma normale, dimessa dall'ospedale molto tempo fa, vive vicino ai genitori e cerca faticosamente di lasciare le vicende della sua giovinezza alle spalle.
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