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Maurilio Adriani

Auteur de História das Religiões

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Ha scritto Oscar Wilde: “Una carta del mondo dimentica di Utopia non è degna neanche di uno sguardo”.

Aveva ragione. Il suo aforisma sintetizza in maniera magistrale la visione idealizzata della società umana: un’unica, grande, insostenibile ed incomprensibile “leggerezza”. Sempre utile la parafrasi del titolo di quel famoso libro di Kundera. La citazione di Wilde la ritrovo in apertura di questo prezioso libro che mi riporta indietro negli anni. Quasi mezzo secolo. Ha la data del 1975 ed è il volume num. 94 della collana chiamata “La nostra biblioteca classica”, pubblicata da EDIPEM in cento volumi, sotto la direzione letteraria di Geno Pampaloni. Una raccolta che conservo gelosamente in due diverse versioni.

Questo volume è una preziosa ed agile antologia che, partendo da Atlantide di Platone, inizia un viaggio visitando profeti ed iniziati, rileggendo libri sibillini sulla fine dei tempi, incontra l’apostolo Giovanni e la sua Apocalisse, la paura dell’anno mille e la ricerca del Paradiso Terrestre, l’Evangelo Eterno e l’isola di Utopia, arriva nel Rinascimento in cerca delle Città Felici e la Nuova Atlantide di Bacone e la Città del Sole di Campanella.

Si incontrano viaggiatori immaginari quali Cyrano di Bergerac e l’Oceana di Harrington, con il Gulliver di Swift, tra ideologia e utopia il sogno di una felice Europa e la Teoria dell’Armonia con notizie da “Nessunluogo-Nowhere”, mentre la macchina del tempo continua a macinare utopie, ritornando a Matusalemme nel “Mondo Nuovo” di Huxley, che non finisce nel “1984” di Orwell, ma con l’ultimo Papa nella storia di Graham Greene che lo vede in esilio dopo di aver lasciato una Chiesa finita.

Sono sicuro che il curatore di questa antologia, Maurilio Adriani, se potesse riscriverla oggi in piena pandemia ed aggiornare il suo viaggio nell’Utopia, avrebbe modo di aggiungere molte altre pagine che tanti nuovi utopisti, veri o fasulli, in questi anni del passato mezzo secolo, a cavallo di un secolo ed un millennio, hanno avuto modo di scrivere. L’immagine di un Papa rimasto solo in Piazza San Pietro durante la pandemia che stiamo ancora vivendo, basta a dare il senso, o il nonsenso, a tutto.

Resta l’interrogativo al quale bisogna pur cercare di dare una risposta. Verrebbe da pensare che la carta geografica immaginata da Wilde è ben più grande di quella vera. Andrebbe, però, prima capita la differenza che passa tra i due termini: “utopia” e “utopismo”. Le utopie sono visioni idealizzate di una società perfetta. Gli utopismi sono quelle idee messe in pratica. È qui che iniziano i guai.

Thomas More ha coniato l’utopia del neologismo per il suo lavoro del 1516. La parola significa “nessun luogo” perché quando gli esseri umani imperfetti tentano la perfettibilità, personale, politica, economica e sociale, falliscono. Quindi, lo specchio oscuro delle utopie sono le distopie: esperimenti sociali falliti, regimi politici repressivi e sistemi economici prepotenti che risultano da sogni utopici messi in pratica.

La convinzione che gli esseri umani siano perfettibili porta, inevitabilmente, agli errori quando “una società perfetta” è progettata per una specie imperfetta. Non c’è modo migliore di vivere perché c’è così tanta variazione nel modo in cui le persone vogliono vivere. Pertanto, non esiste una società migliore, solo variazioni multiple su una manciata di temi come dettato dalla nostra natura.

Le mappe più numerose alle quali si riferisce Wilde sono quelle utopiche. Non si contano i milioni di morti trapassati in nome delle utopie. Cosa dovrebbe sostituire l’idea di utopia? Una risposta può essere trovata in un altro neologismo, la protopia, un progresso incrementale che a piccoli passi porti verso il miglioramento, non la perfezione, uno stato che è meglio oggi di ieri, anche se potrebbe essere solo un po ‘meglio.

Il progresso protopico potrebbe condurre all’attenuazione della guerra, all’abolizione della schiavitù, in tutte le sue forme, alla fine della tortura e della pena di morte, al suffragio universale, al liberalismo. alla democrazia, ai diritti e libertà civili, per uomini ed animali. Esempi nuovi e possibili di progresso protopico nel senso che possono avvenire a piccoli passi. Ma, forse, anche questa resterà una “leggerezza” tutta umana
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AntonioGallo | 1 autre critique | Jul 23, 2021 |
Ha scritto Oscar Wilde: “Una carta del mondo dimentica di Utopia non è degna neanche di uno sguardo”.

Aveva ragione. Il suo aforisma sintetizza in maniera magistrale la visione idealizzata della società umana: un’unica, grande, insostenibile ed incomprensibile “leggerezza”. Sempre utile la parafrasi del titolo di quel famoso libro di Kundera. La citazione di Wilde la ritrovo in apertura di questo prezioso libro che mi riporta indietro negli anni. Quasi mezzo secolo. Ha la data del 1975 ed è il volume num. 94 della collana chiamata “La nostra biblioteca classica”, pubblicata da EDIPEM in cento volumi, sotto la direzione letteraria di Geno Pampaloni. Una raccolta che conservo gelosamente in due diverse versioni.

Questo volume è una preziosa ed agile antologia che, partendo da Atlantide di Platone, inizia un viaggio visitando profeti ed iniziati, rileggendo libri sibillini sulla fine dei tempi, incontra l’apostolo Giovanni e la sua Apocalisse, la paura dell’anno mille e la ricerca del Paradiso Terrestre, l’Evangelo Eterno e l’isola di Utopia, arriva nel Rinascimento in cerca delle Città Felici e la Nuova Atlantide di Bacone e la Città del Sole di Campanella.

Si incontrano viaggiatori immaginari quali Cyrano di Bergerac e l’Oceana di Harrington, con il Gulliver di Swift, tra ideologia e utopia il sogno di una felice Europa e la Teoria dell’Armonia con notizie da “Nessunluogo-Nowhere”, mentre la macchina del tempo continua a macinare utopie, ritornando a Matusalemme nel “Mondo Nuovo” di Huxley, che non finisce nel “1984” di Orwell, ma con l’ultimo Papa nella storia di Graham Greene che lo vede in esilio dopo di aver lasciato una Chiesa finita.

Sono sicuro che il curatore di questa antologia, Maurilio Adriani, se potesse riscriverla oggi in piena pandemia ed aggiornare il suo viaggio nell’Utopia, avrebbe modo di aggiungere molte altre pagine che tanti nuovi utopisti, veri o fasulli, in questi anni del passato mezzo secolo, a cavallo di un secolo ed un millennio, hanno avuto modo di scrivere. L’immagine di un Papa rimasto solo in Piazza San Pietro durante la pandemia che stiamo ancora vivendo, basta a dare il senso, o il nonsenso, a tutto.

Resta l’interrogativo al quale bisogna pur cercare di dare una risposta. Verrebbe da pensare che la carta geografica immaginata da Wilde è ben più grande di quella vera. Andrebbe, però, prima capita la differenza che passa tra i due termini: “utopia” e “utopismo”. Le utopie sono visioni idealizzate di una società perfetta. Gli utopismi sono quelle idee messe in pratica. È qui che iniziano i guai.

Thomas More ha coniato l’utopia del neologismo per il suo lavoro del 1516. La parola significa “nessun luogo” perché quando gli esseri umani imperfetti tentano la perfettibilità, personale, politica, economica e sociale, falliscono. Quindi, lo specchio oscuro delle utopie sono le distopie: esperimenti sociali falliti, regimi politici repressivi e sistemi economici prepotenti che risultano da sogni utopici messi in pratica.

La convinzione che gli esseri umani siano perfettibili porta, inevitabilmente, agli errori quando “una società perfetta” è progettata per una specie imperfetta. Non c’è modo migliore di vivere perché c’è così tanta variazione nel modo in cui le persone vogliono vivere. Pertanto, non esiste una società migliore, solo variazioni multiple su una manciata di temi come dettato dalla nostra natura.

Le mappe più numerose alle quali si riferisce Wilde sono quelle utopiche. Non si contano i milioni di morti trapassati in nome delle utopie. Cosa dovrebbe sostituire l’idea di utopia? Una risposta può essere trovata in un altro neologismo, la protopia, un progresso incrementale che a piccoli passi porti verso il miglioramento, non la perfezione, uno stato che è meglio oggi di ieri, anche se potrebbe essere solo un po ‘meglio.

Il progresso protopico potrebbe condurre all’attenuazione della guerra, all’abolizione della schiavitù, in tutte le sue forme, alla fine della tortura e della pena di morte, al suffragio universale, al liberalismo. alla democrazia, ai diritti e libertà civili, per uomini ed animali. Esempi nuovi e possibili di progresso protopico nel senso che possono avvenire a piccoli passi. Ma, forse, anche questa resterà una “leggerezza” tutta umana.
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AntonioGallo | 1 autre critique | May 22, 2021 |
Eis bem exemplificado a arte de escrever muito e dizer pouco, infelizmente tão comum no mundo académico.
É inegável a erudição do autor, tal como é a sua incapacidade de comunicar. Não se compreende qual a ideia transversal à obra, nem tão pouco se compreende a sua intenção.
 
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CMBras | Mar 18, 2021 |

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